Il giro d’Italia è uno di quei rari eventi sportivi che riesce a coinvolgere un elevato numero di persone in ogni angolo del Paese. Sia per i più appassionati che per i neofiti la corsa in rosa ha un fascino magnetico, perché per pochi minuti ci sente protagonisti insieme ai corridori delle loro imprese sportive; lungo quelle strade che percorriamo abitualmente ogni giorno essi costruiscono la loro carriera fatta di vittorie e delusioni cocenti.
Uno degli scogli che la maglia rosa deve affrontare e superare per diventare campione è il classico tappone dolomitico, un percorso che si snoda sulle strade e passi nel cuore delle Dolomiti, composto di salite probanti e discese a perdifiato. Il tutto segnato dall’incognita del tempo che in montagna può variare velocemente e obbligare gli atleti a gareggiare in condizioni estremamente ardue. Tutti i più grandi campioni hanno contribuito a scrivere pagine di storia su questi passi con il loro talento e forza di volontà: da Coppi a Bartali, passando per Merckx, Pantani, Contador fino ai più recenti Aru e Nibali. La vittoria nel tappone in molti casi si rivela decisiva nella vittoria finale della competizione.
La tappa del 21 maggio 2016, partita da Farra d’Alpago e arrivata a Corvara, ha visto il passaggio dei ciclisti nell’Agordino, transitando lungo la val Cordevole, passando gli abitati di Alleghe e Caprile per indirizzarsi verso Arabba e il passo Pordoi. La vittoria è andata al colombiano Chaves mentre la maglia rosa è finita sulle spalle dell’olandese Kruijswijk.
Il passaggio del giro porta con se effetti positivi sotto vari aspetti, dalla promozione del territorio a un surplus fuori stagione per le strutture turistiche, ma lancia anche un monito silenzioso per l’ambiente e per queste Dolomiti troppo spesso bistrattate e vittime di scarso senso civico da parte di chi le frequenta.
