Come raccontava Mario Rigoni Stern nel sergente nella neve, c’è stato un drammatico momento, all’inizio del 1943, dove molti italiani mandati a combattere sul fronte russo si ripetevano la stessa domanda: “quanti chilometri ci saranno per arrivare a casa?”. Era iniziata la ritirata. Le truppe alpine avevano ricevuto l’ordine di ripiegamento abbandonando i capisaldi sul Don; lasciare quelle buche, trincee, casupole di legno che negli ultimi due anni avevano assunto il significato di casa, dividere il proprio spazio vitale con gli uomini dello stesso plotone e vivere costantemente con la paura addosso che da un momento all’altro si potesse scatenare il putiferio. Questa non è una storia di famiglia, non può esserlo perché ha coinvolto 230000 soldati, di cui oltre la metà non fecero più ritorno a casa, 68000 vennero catturati e solo 21000 vennero rimpatriati tra il 1945 e il 1947. Mi chiedo se a questi 21000 qualcuno abbia mai restituito due anni di vita, visto che la guerra fini nel ’45. Qualcosa mi dice di no.
La storia che ci tengo a raccontare è quella di Giuseppe e Luigi, mio nonno paterno e suo fratello, alpini della divisione “Julia, ”impegnati sulla linea del Don dal settembre ’42 fino al gennaio ‘43.
Prima della Russia, le operazioni sul fronte francese.
Monte Bianco, 01-10-1939
“Oggi hanno suonato la sveglia alle cinque. Appena aperta la tenda ci è comparsa la neve, che ne sarà stato almeno quindici centimetri. Con un freddo e un vento intenso seguito a nevicare. Dobbiamo rimanere ancora quindici giorni qua, con l’acqua congelata e il terreno duro come il petum, con poca paglia per non dire niente che l’erba e il frumento cresce al calore del nostro corpo e i reumi cominciano a farsi sentire. “[…]” ho sentito che ci sono dei paesani a sei chilometri da Aosta. Noi si avrebbe avuto il piacere di andare a trovarli, ma siccome il capitano ci ha dato ventiquattro ore di permesso e quelli abitano a quindici chilometri dal nostro accampamento…”[…]” Ti farò sapere che ci hanno cresciuto la paga di una lira al giorno e ventitré centesimi di alta montagna e la si fa andare bene, qualche litrotto ogni tanto”. “Finalmente dieci giorni fa si hanno decisi di mettere a funzionare lo spaccio, che per noi è una gran comodità. Vendono tabacco, vino, formaggio, cioccolato e qualche volta anche frutta.” […] “ Vogliamo una foto dei nuovi coscritti per conoscerli bene, quando arrivano poveri loro”. Giuseppe
Courmayeur, 06-05-1940
“…siamo di nuovo ai confini per aspettare l’ora di avanzare e sono sicurissimi che in paese ora varchiamo i confini. Ti faccio noto che non sono più dei sconci però mi rincresce molto lasciare la mia bestia che ogni volta che mi vede mi fa i complimenti. Da sei giorni siamo sotto la tenda con due coperte e la notte fa abbastanza freddo, ma ormai siamo abituati e rispettiamo il nostro capitano che si interessa di tutto. Della provincia di Belluno come alpini in due ci hanno richiesti ed allora ci hanno levato dalla drugia per rientrare in compagnia ed in seguito gli richiede tutti perché ha detto che senza anziani la compagnia non va avanti. Qua il tempo è bellissimo, però freddo.” Giuseppe
La partenza per il fronte Russo
Fronte Russo, 04/9/1942
“Puntualmente gradito mi è giunto il saluto degli Alpini del Ploton Caprile. Vi ringrazio promettendovi che bocie e veci sapranno mantenere alto il valore della penna nera anche nella plumbea steppa del Don” Luigi.
Arrivarono sul fronte il 19 settembre. Il Don era un imponente fiume largo dai trenta ai cento metri, incassato e sinuoso, con acque profonde dai due ai dieci metri. Le scarpate erano ripide, spesso a strapiombo. La sponda destra, dove era schierato il corpo d’armata alpino, dominava quella sinistra. Unità russe passavano anche con natanti di circostanza, ciò imponeva un’intensa attività di pattugliamento la notte con violenti scontri. L’inverno russo avanzava inesorabilmente e nel frattempo gli alpini costruivano ricoveri interrati e robusti.
Fronte Russo, 06/10/1942
“Dopo molto tempo, vengo direttamente a te facendoti sapere della mia ottima salute e che mi hanno recapitato la tua lettera cartolina. Vedo che attendete le mie nuove, ma dovete pensare che qui non sono nella possibilità di avere materiale e quindi non aver dubbio, perché allorquando avrò carta vi scriverò” “Ti dirò che qui facciamo una vita che per essere di guerra è abbastanza discreta. Come mangiare fra patate e zucche ne abbiamo abbastanza”[…]” Per il resto va bene. Beppo è rimasto indietro, fino ai primi di dicembre non entra in prima linea, per allora speriamo che qualche cosa sia concluso” Luigi
Fronte Russo, 13/10/1942
“Qui vi è sempre la solita calma, nulla di nuovo da segnalare come dice il più delle volte il bollettino. Come salute sto sempre benissimo, speriamo che continui fino in fondo. Ieri abbiamo ricevuto il pacco che la gentile e graziosa città di Milano ha offerto ai combattenti dell’Armir. Esso conteneva cognach, vino, panettone, sigarette, inchiostro e penne, formaggio, marmellata, latte condensato. Da Beppo non ho notizie, so solo che si trova a distanza rilevante e che il suo reggimento è di rincalzo”. Luigi
Fronte Russo, 28/10/1942
“L’altro ieri ho ricevuto la cartolina speditami e vi ringrazio. Qui sempre il solito. Di salute sto benissimo e anche la situazione si è migliorata. Beppo è ancora al solito posto e non so quando verrà qui, speriamo tardi. I coscritti del ’23 sono partiti? Sono giovane io ma ne sono ancora di più giovani”. Luigi
Fronte Russo, 30/10/1942
“Con molto piacere ieri ricevetti la cartolina, ringrazio infinitamente. La come va? Raccontatemi qualche novità. Mentre ti scrivo questo, Luigi lavora a tutta forza, credo mi capirai. Qua non è male. Speriamo sia sempre così e anche per il freddo non si può lamentarsi essendo ai primi di novembre. Tempo nuvoloso, sembra che ci lasci cadere la neve.” Giuseppe
Fronte Russo, 09/12/1942
“Qui novità n.n. La neve e il vento sono cose oramai vecchie e perciò non degne di rilievo alcuno. I Rutzki non osano muoversi, secondo notizie avute dai lori prigionieri temono gli alpini e gli temono forte […] Io da 11 giorni mi trovo distante dalla linea 15 chilometri, e ora dove sono ora faccio una vita allegra, il servizio che ora faccio è più adatto alla mia vita sportiva. Lo sci è sport bellissimo, facendo il mio servizio faccio dello sport. Quando tornerò in Caprile, il nostro plotone sarà in linea più forte e nelle singole gare non si classificherà più nelle posizioni di coda come lo fu nel marzo 1942. Il giorno 27 novembre sono andato a trovare Beppo e dicendovi il vero fui protagonista di una movimentata vicenda e alla fine mi buscai i cosidetti 10 + 15 di 2. Non importa almeno ho avuto la soddisfazione di aver visto mio fratello.” Luigi
Fronte Russo, 07/01/1943
“All’ordine del giorno vi comunico che mio fratello è stato ferito al braccio. Il giorno che seppi di tale cosa, vi assicuro che ho avuto un gran sollievo perché veramente pensavo una cosa peggiore. Beppo si trova ora a Rossosk e mi scrisse che cambia ospedale; credo che andrà a Karkow e poi forse verrà in Italia, ma forse. Dopo 25 giorni il fronte si è di nuovo calmato.” Luigi
Il resto, come potete immaginare, non può essere una storia di famiglia come ho già scritto. Non può esserla perché l’abbiamo studiata sui libri e abbiamo letto i racconti di coloro che l’hanno vissuta e dell’inferno che hanno dovuto sopportare. Delle umiliazioni che hanno subito e dei dispiaceri che ogni famigliare ha covato dentro di se e ha dovuto trascinarsi per il resto della propria vita.
Questa foto ritrae da sinistra verso destra Cordella Giuseppe, suo padre Giovanni e suo fratello Luigi. È stata scattata poche settimane prima della partenza sul fronte russo dove i due fratelli svolsero il loro compito nelle file della divisione Julia. Giuseppe venne ferito a un braccio e fece ritorno in Italia. Luigi, invece, subì la stessa sorte che accompagnò molti altri militari italiani dopo la ritirata del ’43 ovvero venne catturato e deportato in un campo di concentramento. Scoprimmo, dopo esserci rivolti all’associazione nazionale combattenti reduci e simpatizzanti, all’alba del 2000, che Luigi morì il 3 febbraio del 1944 nel lager n°58 di Tiomnikov. Suo padre Giovanni, non avendo notizie del figlio, visse i suoi ultimi anni nella vana speranza di poterlo riabbracciare ancora una volta.
Bibliografia:
Le lettere sono state estratte dal bollettino Alle Gue del Civetta, N.1 Gennaio – Marzo 2003.